SUL PERIODO AMERINO DI AGOSTINO DI DUCCIO
Giulia Brunetti
SUL PERIODO «AMERINO » DI AGOSTINO DI DUCCIO
Estratto dalla Rivista «Commentari» XVI, n. I-II-1965
DE LUCA EDITORE
ROMA 1965
Ad Amelia si attribuiscono, com’è noto, a Agostino di Duccio tre monumenti Geraldini: quello del vescovo Giovanni, nel Duomo, che porta la data 1476, quello che lo stesso Giovanni e i suoi fratelli eressero in S. Francesco nel 1477 ai loro genitori, Matteo e Elisabetta [1], e quello di Camillo e Belisario Geraldini, quest’ultimo dubbio.
Le due date ci riportano più o meno nello stesso periodo dei lavori per la Maestà delle Volte (di cui Agostino aveva assunto il cottimo nel settembre del 1475); e può sembrare a prima vista poco opportuno, di fronte a cose tanto alte e veramente rappresentative come sono i frammenti che ci sono pervenuti della distrutta facciata perugina, intitolare queste osservazioni a una oscura produzione di provincia, generalmente considerata di bottega, con scarso e « stanco » intervento del maestro. Ma avverto, per cominciare, che non credo che tutta questa produzione si debba considerare in un unico raggruppamento e che, comunque, è solo su una parte di essa che intendo richiamare l’attenzione in questa nota.
Dalla lettura delle epigrafi dei due monumenti si ricava intanto che Giovanni Geraldini, vescovo di Catanzaro, fece costruire la cappella in S. Francesco per sé e per la sua famiglia nel 1476 e che, originariamente, vi fu collocato anche il suo monumento. Non so quando e per quali ragioni questo fosse trasferito nella cattedrale; quello che posso dire è che nel relativo volume dell’« Italia sacra » di Ferdinando Ughelli (Roma, 1662, p. 513, § 20) lo troviamo ancora ricordato « in ecclesia Sancti Francisci, sacelloque suorum gentilium... », con la esatta trascrizione del distico inciso « sub marmoreo simulacro »
[1] Il sepolcro di Matteo ed Elisabetta fu attribuito ad Agostino di Duccio dal DE NICOLA (Due opere sconosciute di Agostino di Duccio, in L’Arte, 1908, p. 387), che ritenne di mano proprio di lui i due Angioli adoranti e di un collaboratore il S. Antonio e i defunti. Quello di Giovanni era allora «ammucchiato in pezzi in una stalla del Palazzo Vescovile»; l’esame non ne fu facile ma sufficiente a persuaderlo «dell’identità di quei frammenti col sepolcro di S. Francesco». Contemporaneamente il VENTURI (Storia VI, 1908, p. 406), riferendosi solo al monumento dei coniugi lo disse eseguito da Agostino «con qualche aiuto» e vi vide «l’ultima decadenza della sua maniera». Escluso l’Angiolo a sinistra e «la testa gentile di Elisabetta», egli deprezza, sia nelle parti figurate che nelle architettoniche, tutto il monumento in cui l’artista si mostra «stanco prossimo alla fine…». Il sepolcro di Giovanni fu illustrato diffusamente dal COLASANTI (La tomba di Giovanni Geraldini opera di Agostino di Duccio in Rassegna d’Arte, 1916, pp. 38 segg.) che si interessò della ricollocazione («era stato bestialmente rimosso nel 1902 a insaputa della Direzione Generale» e lo disse tutto indubbiamente uscito dalla bottega di Agostino, ma «eseguito in un momento di stanchezza della sua arte» con «notevole collaborazione di aiuti». L’intervento diretto del maestro si rivela, secondo il Colasanti, «solo in qualche parte del rilievo delle Virtù». Nello studio del Colasanti sono riprodotte tutte le parti del monumento prima della ricollocazione, comprese una veduta del tergo del busto di S. Giovanni e una di quello del rilievo con le Virtù, per far vedere che lo scultore, come in altri casi, adoprò frammenti di sculture anteriori (un pezzo di «decorazione dell’ottavo o nono secolo» e un «frammento di un grandioso cornicione romano ornato di fogliette e di un astragalo»). Il Colasanti suppone che siano stati utilizzati «marmi erratici» anche per la tomba dei coniugi, nella quale infatti i materiali sono svariati (per le parti figurate, marmo; per il resto, travertino e semplice muratura; ma quest’ultima credo si debba mettere in relazione con i rimaneggiamenti cui accenno più oltre). Il RICCI ( Il Tempio Malatestiano, Milano-Roma, 1925, p. 123) cita i due monumenti come «fatti nel 1477 nella sua (di Agostino) bottega con qualche intervento suo», e, a proposito di quello dei coniugi, dice che «la mano del maestro può avere ripassato le teste dei due defunti e ritoccato le mezze figure di S. Antonio da Padova e dei due Angeli, ma non altro». Anche il RAGGHIANTI (La Mostra di scultura italiana antica a Detroit, in La Critica d’Arte, 1938, p. 178) vede i due monumenti «in molte parti di qualità inferiore» per «l’intervento assai largo della bottega».
Chiesa di San Francesco ad Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481) Tomba di Matteo ed Elisabetta Geraldini di Amelia. Particolare
Chiesa di San Francesco ad Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481) Tomba di Matteo ed Elisabetta Geraldini di Amelia Chiesa di San Francesco ad Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481). Tomba di Matteo ed Elisabetta Geraldini di Amelia. Particolare Chiesa di San Francesco ad Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Matteo ed Elisabetta Geraldini di Amelia. Particolare Chiesa di San Francesco ad Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481) Tombe di Camillo e Belisario Geraldini di Amelia Duomo di Amelia, Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481). Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. Le virtù teologali Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481). Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. Particolare. Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. Il Cristo Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. La Fortezza Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. Particolare. Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481).Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia.Particolare Duomo di Amelia. Agostino di Duccio (1418-1481)Tomba di Giovanni Geraldini di Amelia. La Carità.