IL NUOVO MONDO: EVANGELIZZAZIONE E CONQUISTA
Settimanale Cattolico - M. A. FALCHI PELLEGRINI
Il Nuovo Mondo: evangelizzazione e conquista
Breve storia del popolo dominicano
Dai primi anni successivi alla scoperta di Colombo si affiancano nelle Americhe l'evangelizzazione delle popolazioni e la conquista. La conquista era pensata come supporto all'evangelizzazione e quasi giustificata per rendere quest'ultima possibile.
Nella prima bolla pontificia relativa alle terre appena scoperte, la Intercera del 1493, Alessandro VI esorta con forza i Reali di Spagna "virtute sanctae obedentiae" al diffondere la religione cristiana tra gli abitanti delle nuove terre: la conquista spagnola è legittimata dal Pontefice come strumento di conversione degli infedeli.
La conquista è però realizzata con modi violenti, ingiusti, oppressivi, senza alcun rispetto per la cultura, i costumi, i caratteri degli indios, mirando solo alla ricchezza e al potere, col risultato di sterminare o rendere schiave le popolazioni che si dovevano salvare in Cristo.
Molti dei religiosi, sacerdoti, vescovi, che operano nelle Americhe con spirito missionario, presa coscienza del trattamento inflitto agli indigeni, cominciano ben presto a difenderli, condannando il comportamento dei conquistadores e guadagnandosi ostilità e opposizioni. Tra i primi interventi ricordiamo l'infuocata predica tenuta a Santo Domingo nel 1511 dal domenicano Antonio de Montesinos, che accusa di peccato mortale contro il comandamento della carità tutti coloro che esercitano soprusi e crudeltà sulle popolazioni innocenti. Accenti di protesta contro lo sterminio degli indios si colgono anche negli scritti, collocabili agli inizi degli anni venti, del primo vescovo residenziale di Santo Domingo, Alessandro Geraldini di Amelia.
Le riserve etico-religiose e la difesa dei diritti acquisiti si trasformano, in questi anni, in costruzioni dottrinali, interpretabili secondo una contrapposizione di fondo: gli indios sono esseri razionali o esseri inferiori, incapaci di diritti e schiavi per natura? Sono titolari di un valido dominium politico sui loro territori, oppure, in quanto infedeli e "barbari", sono oggetto di legittima conquista da parte dei sovrani cristiani?
Nel 1535 il vescovo di Tlaxcala, Juliàn Garcés, sostiene, in una lettera a Papa Paolo III, la razionalità degli indios e la loro capacità ad accogliere la fede cristiana. A questo documento fa seguito la bolla pontificia del 1537 Veritatis ipsa (citata anche come Sublimis Deus), nella quale il Papa, riprese le affermazioni di Garcés, dichiara gli indios capaci di usare e godere lecitamente della loro libertà e del dominio sulle cose in loro possesso, proibisce che ne siano privati con la forza e siano ridotti in schiavitù, esorta infine alla loro evangelizzazione. Cade così un'importante giustificazione etica della riduzione in schiavitù e della conquista armata.
Queste proteste, polemiche, condanne rischiavano però di rimanere isolate, tra la pia compassione o la crudele indifferenza dei potenti. L'animo ardente e combattivo di padre Bartolomé de Las Casas, che nel 1523 vestì l'abito domenicano a Santo Domingo e fu successivamente vescovo di Chiapa, riuscì, attraverso una vita dedicata all'evangelizzazione degli indios e alla difesa dei loro diritti, a trasformarle in forze concretamente operanti.
In polemica contro la tesi, sostenuta sulla base del pensiero di Aristotele da Ginés de Sepulveda, dell'esistenza di uomini "schiavi per natura", Las Casas afferma, secondo l'antropologia tomista, l'eguaglianza di tutti gli uomini. Tutti hanno l'uso della ragione e sono capaci, attraverso un insegnamento adatto, di ricevere istruzione e di accogliere la dottrina cristiana. Egli riconosce begli indios vivo ingegno e notevoli capacità naturali e li ritiene, per ordine e concordia politici, uguali e spesso superiori ai più famosi popoli dell'antichità, passando così da una loro difesa in nome della carità evangelica, al riconoscimento delle loro culture.
Las Casas argomenta quindi l'ingiustizia, secondo il diritto divino, naturale e delle genti, della conquista violenta, della riduzione in schiavitù, dello sfruttamento delle popolazioni indiane, libere e capaci di diritti, avendo anche sperimentato come l'opera di evangelizzazione non possa fondarsi sull'imposizione e sulla paura, ma richieda, per uscire, comprensione e fiducia.
M. A. Falchi Pellegrini
(da "settimanale cattolico" 19/12/1991)