Alessandro Geraldini
GERALDINI

AGAPITO GERALDINI DI AMELIA, OMBRA DI CESARE BORGIA

Matteo di Turo

Il catalogo dei romani pontefici, tra i degni successori dell'apostolo Pietro, annota anche quelli bollati giustamente dalla Storia come non meritevoli di felici ricordi. Non può dirsi di venerata memoria papa Alessandro VI (1492-1503), lo spagnolo Rodrigo Borgia; la cui elezione al Soglio pontificio fu ritenuta vera iattura per la Chiesa. La sua ascesa avvenne in quel 1492, l'anno in cui gli storici dichiararono concluso il Medioevo. L'elemento di riferimento dei nuovi tempi, dopo i secoli bui, fu un evento d'eccezionale portata: la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo, il navigatore genovese al servizio dei reali di Spagna. Per la morte di Innocenzo VIII (1484-1492), vi fu, quindi, l'incredibile e scandalosa elezione a pontefice di quel nipote di Callisto III, il sessantunenne cardinale Rodrigo Borgia; che da porporato, con un "breve" di papa Pio II era stato rimproverato per la vita licenziosa che conduceva, senza neppure preoccuparsi di non menarla in maniera apertamente sfacciata. Di quella sua elezione lo Spirito Santo non fu colpevole; e di certo non aleggiò su quel conclave. Fu forse il Diavolo che ne ottenebrò le menti. E ciò accadde quando gli appetiti dei porporati più influenti vennero stimolati dalle larghe promesse di commende fatte dal Borgia per farsi eleggere. Impegni puntualmente mantenuti a cose fatte; e così concretizzati: il vicecancellierato e il palazzo del nuovo papa al cardinale Ascanio Sforza; i possedimenti di Monticelli e Soreano al cardinale Orsini; Subiaco coi castelli circostanti al Colonna; e Civitacastellana al Savelli (1). Suo zio, papa Callisto III, lo aveva creato cardinale a venticinque anni. Quindi, gli era stato consentito di arricchirsi inarrestabilmente, al punto di poter disporre di rendite principesche. Però non era il benessere economico la sua unica aspirazione. E neppure la realizzazione di un ben preciso disegno politico cui tanto teneva. Ciò che più d'ogni cosa gli faceva perdere la ragione era l'altra metà del cielo: le donne. Che gli piacessero, al punto da non poterne fare a meno, era di pubblico dominio. L'universo femminile gli acuiva la complessa patologia sessuale. Era un tombeur de femmes. Un impenitente seduttore. E questa passione morbosa non gli si spense neppure quando fu ad un passo dalla tomba. Delle sue non poche amanti si citano però solo i nomi delle due più accreditate nel bel mondo dei suoi giorni: la romana Vannozza de' Cattanei, già tre volte sposata, che gli diede quattro figli; e la mantenuta ufficiale, l'affascinante Giulia Farnese, sposa di Orsino Orsini; che i mangiapreti del tempo bollarono come "concubina papae" e "sposa di Cristo" (2). Egli fu per la Chiesa un problema. Ai figli avuti dalla Vannozza vanno aggiunti ancora due, di altre donne (3). Pontificato e Chiesa costituirono, a giudizio degli storici, il mezzo con cui Alessandro VI procedette per arricchire la famiglia. Sua figlia, l'avvenente Lucrezia, fu dai cronisti del suo tempo apostrofata con unanime durezza anche ingiustamente. La si disse dispensatrice di veleni e in rapporti incestuosi sia col padre che col fratello Cesare. E fu appunto a quest'ultimo personaggio immortalato dalla Storia che profuse intelligenza e preziose energie l'arcivescovo sipontino, già arcidiacono d'Amelia, Agapito Geraldini di Amelia (e non Gerardino come il Sarnelli dice): un altro pastore di anime che latitò, senza aver quanto meno preso possesso dell'Archidiocesi di cui godeva della titolarità. Il Geraldini, assegnato da papa Borgia all'episcopato sipontino, il 4 giugno 1500, anno del Giubileo, succedette al domenicano fra Martino da Lignano Bolognese, trasferito l'anno precedente all'arcivescovato di Cosenza, dopo solo dodici mesi di permanenza a Manfredonia. C'è qui da far luce su questo personaggio di cui nell'Archidiocesi pochissimo si sa; e che inaugurò il nuovo secolo per la Chiesa sipontina. Il suo casato è originario dai Gherardini di Firenze; di certo si sa che i Geraldini, dalla fine del XIII secolo, già primeggiavano in Amelia, per censo e nobiltà, conservando nel contado possessi feudali e allodiali (4). Agapito Geraldini di Amelia nacque verso il 1450. In famiglia, con autorevoli congiunti quali il nonno paterno, il padre, e più prelati prestigiosi, egli ebbe modo di dedicarsi agli studi umanistici e di affinare la preparazione culturale. Non si sa con certezza se la scelta del sacerdozio fu dovuta a sincera vocazione oppure ad imposizione familiare. Però si sa che a ventotto anni egli era già arcidiacono della chiesa cattedrale di S. Fermina e vicario del vescovo (5). Lungo sarebbe seguire l'ascesa di questo personaggio, la cui abilità di fine diplomatico gli consentì di passare graditissimo per le segreterie di influenti uomini del tempo, non esclusa quella di papa Alessandro VI. E quando nel 1498 Cesare Borgia, figlio del pontefice, rinunciò alla dignità cardinalizia, Agapito andò da lui come primo segretario mostrando le proprie qualità d'uomo di genio, di astuto diplomatico, di letterato, di scrittore, di organizzatore perfetto ed abile, perché formatosi nei diversi gabinetti: da quello del re d'Aragona, alle segreterie del papa e del cardinale Borgia (6). Della sua movimentata attività l'occasione più memorabile fu la sua partecipazione alla fastosa trasferta al seguito di Cesare Borgia in Francia, per il matrimonio del vulcanico pupillo di Alessandro VI con la principessa d'Albret; e per la presa di possesso dei feudi che Luigi XII gli elargiva per le nozze. E perché il suo Cesare avesse potuto figurare da gran principe, il pontefice aveva voluto che un cospicuo codazzo, di circa cento tra armigeri, gentiluomini, scudieri, staffieri, con ben cinquanta muli carichi di forzieri, si fosse mosso per lo storico viaggio verso le favolose nozze, e che avrebbero consentito allo sposo d'ottenere il possesso del ducato di Valentinuois; grazie al quale costui si trovava designato come duca Valentino (7). Agapito Geraldini, cresciuto di giorno in giorno nella considerazione di Cesare Borgia, nulla trascurò nella messa a punto dei piani particolareggiati del disegno espansionistico di Alessandro VI. Mai egli fallì nel delicato compito di procurare aiuti, in uomini, armi, e denaro per riassoggettare, con la guerra di Romagna, quelle terre della Chiesa destinate a porsi come primo nucleo di un principato da ampliare (8). Agapito era divenuto la figura indispensabile nella gestione dell'attività diplomatica del Valentino. Non rari furono i suoi incontri coi grandi uomini del tempo, tra cui Leonardo da Vinci, chiamato dai Borgia a ispezionare fortini ed a redigere progetti per opere difensive in Romagna. Più volte egli incontrò Niccolo Machiavelli, il celebre segretario fiorentino, nel corso dell'intensa attività diplomatica svolta per il suo signore. La collaborazione coi Borgia era iniziata per Agapito proprio in quel 1498, l'anno in cui a Firenze cessava di tuonare la forte voce del domenicano fra Girolamo Savonarola, che predicava la riforma del costume nel clero e nel popolo. Il frate ferrarese, era stato messo a morte, proprio in quel tempo, in piazza della Signoria, dopo la scomunica comminatagli da papa Borgia, da lui sfidato. E questi lo aveva voluto morto a ogni costo, "anche se fosse stato un secondo Giovanni Battista" (9). Poi c'erano stati i giorni cupi. Quelli dei tradimenti. Cesare Borgia aveva armato una macchina infernale di frode e di violenza per liberarsi dei ribelli: i capitani da lui innalzati e beneficati. Ma è stato giustamente osservato che c'era in questo un valore politico ben fuori di ogni morale (10). Quale fu nella terribile punizione il ruolo di Agapito Geraldini, arcivescovo di Siponto? Nella preparazione della strage dei cospiratori, avvenuta a Senigallia, il 31 dicembre 1502, pare che la sua mano non si sia sottratta del tutto alla sanguinosa progettazione. Pubblicamente la giustificò, pur se segretamente forse non la condivise. Ciò lo si desume dalle lettere da lui scritte la stessa sera dell'eccidio, come comunicazione ai vari signori delle città (11). Allora la vita umana aveva scarso valore, e tante esistenze venivano spente dopo processi svolti con torture e feroci esecuzioni. Certo è che quella strage di fine anno a Senigallia, voluta da Cesare Borgia, s'avvalse dell'appoggio dei suoi collaboratori più fidati; e quindi, dello stesso primo segretario Agapito Geraldini (12). Il 18 agosto 1503, papa Alessandro VI, di certo con un sospiro di sollievo dello Spirito Santo, cessò di vivere. Fu misteriosa la sua fine, per il fatto che lui, come il figlio Cesare erano stati aggrediti dallo stesso morbo, ufficialmente attribuito a malaria. Però questa versione fu accolta con seri dubbi; uno scetticismo condiviso tra l'altro da storici di certo spessore, tra cui il Guicciardini. Si disse che la fine del papa fosse dovuta a tragica fatalità. Vi sarebbe stato un complotto ordito dal papa e da suo figlio Cesare in danno del cardinale Adriano Castellesi di Corneto, per impossessarsi dei suoi beni; e nel corso del banchetto, il vino avvelenato con cantarella, invece di finire all'ospite, lo avrebbero bevuto il pontefice e suo figlio (13). La morte di Alessandro VI avviò il crepuscolo del Valentino. Fu quello un cupo periodo in cui risultò inequivocabilmente provvidenziale l'opera diplomatica dell'arcivescovo Agapito, devotissimo come sempre al suo signore, assediato dalle trame eversive che si moltiplicarono alla morte del padre. Il brevissimo pontificato di Pio III, succeduto a papa Borgia, gli aveva concesso un po' di respiro e qualche speranza; ma col pontificato di Giulio II (1503-1513), Giuliano della Rovere, per il Valentino fu la fine. Il 26 maggio 1504, a Napoli, dove s'era con la famiglia rifugiato da qualche mese, Cesare Borgia fu arrestato da Consalvo di Cordova, e rinchiuso in Castel dell'Ovo: e il 26 agosto venne trasferito in Spagna, dove poi morì combattendo presso Viana, il 22 aprile 1507. Con la scomparsa di Cesare Borgia, l'arcivescovo Agapito non ebbe più uffici, né protettori, segnato com'era per i suoi eccessi di fedeltà al Valentino. Restava in quei difficili frangenti la sua propensione per le attività culturali. S'era ridato ai diletti studi e partecipava alle conferenze tenute all'Accademia Pompaniana, da lui frequentata più volte. Nel 1506, egli rinunciò alla cattedra arcivescovile sipontina. All'atto della nomina, Agapito aveva dovuto pagare alla Camera Apostolica 500 fiorini d'oro. Perché mai - si chiede il Cansacchi - un uomo di spirito tanto elevato e raffinato abbia potuto legare la sua vita ad un principe così vituperato? Di certo non per venalità, perché il Geraldini "non aveva brigato per aver elevati compensi al suo alto e ininterrotto lavoro, ma tanto Alessandro VI che il Valentino avevano largamente provveduto a lui: era arcidiacono presso il capitolo di Amelia, protonotario apostolico partecipante ed abbreviatore: familiare e commensale del papa. Nel 1503, per le insistenze del Valentino, il papa gli aveva concesso le rendite del monastero di S. Cristoforo di Castel Durante a vita; aveva anche una prebenda di cento ducati d'oro all'anno sul monastero di S. Maria Nuova a Roma, e figurava quale rettore parrocchiale della Chiesa di S. Claudio in Carpi (nullius diocesis). Designato arcivescovo di Siponto (Manfredonia), aveva beni nell'arcivescovato di Capua e rendide in quel di Bertinoro in Romagna; Rieti, in riconoscenza di preziosi servizi resi da Geraldini, gli aveva donato una casa nella città (...) Cortigiano elegante ed accorto, seppe mantenersi in un periodo dei più sanguinari su di una linea di moderazione, consigliata dal suo ingegno e dalla sua signorilità. Nelle alte cariche che ricoprì, ottenne unanimi consensi e fu altamente apprezzato. Sebbene un po' mondano, fu pio e costumato e non trascese mai a quelle forme scandalose di vita corrotta, della quale, in alto, si avevano troppi esempi anche nei prelati. Come scrittore di lettere, gli si può assegnare un posto abbastanza eminente, come politico e diplomatico raggiunse la fama dei migliori. Sentì, in sommo grado, lo spirito della romanità e lavorò a tutt'uomo per creare uno Stato ordinato e vasto, nel quale avrebbero dovuto regnare la pace e la giustizia" (14). Morì nel luglio del 1515, all'età di circa 65 anni.

NOTE

1)
    

C. Rendina, op.cit.

2)
    

Ibidem

3)
    

Ibidem

4)
    

C. Cansacchi, "Agapito Geraldini d'Amelia, primo segretario di Cesare Borgia (1450-1515)". Estratto dal Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l'Umbria, volume LVIII, Perugia, 1961

5)
    

Ibidem

6)
    

Ibidem

7)
    

Ibidem

8)
    

Ibidem

9)
    

G. Foot Moore, op.cit.

10)
    

A. Pompeati, op.cit.

11)
    

C. Cansacchi, op.cit.

12)
    

Ibidem

13)
    

Ibidem

14)
    

Ibidem