Discorso di John Fitzgerald Kennedy
Ottobre 1962, dal settimanale "SETTIMO GIORNO"
Articolo a firma F.R.
I LEGAMI DI KENNEDY CON I GERALDINI
ROMA, ottobre
Tutti conoscono l’antefatto. Un giorno - il giorno più importante dell’America, quello del suo stesso compleanno, il Columbus Day - il Presidente John FitzGerald Kennedy rivolge un discorso agli italo-americani. Ha una carta nella manica, di quelle preziose nel gioco elettorale, e non si fa pregare per gettarla sul tappeto, tanto più che nessuno gliel’ha richiesta. "Ora - dice - voglio rivelarvi qualcosa che ho sempre tenuta riservata. Nelle mie vene, come nelle vostre, scorre sangue italiano". Spiega che il suo cognome materno, FitzGerald, altro non è che la deformazione irlandese di Geraldini. Egli è dunque, per li rami, anche un Geraldini.
Con la sua battuta il Presidente ha fatto centro. Egli era già simpatico agli italo-americani quale rappresentante della giovane immigrazione giunto al supremo soglio del grande Paese americano. Ora lo è il doppio, perchè s’è rivelato - alla lontana - un immigrato anche italiano.
Sono cose che contano, in una comunità cresciuta nel crogiuolo di nazionalità diverse, e dette per di più in un giorno come il 12 ottobre. Ad ogni Columbus Day, gli italo-americani sentono infatti riecheggiare, fra canti e discorsi celebrativi, il suono di certe polemiche mai sopite. Una, per esempio, è con gli spagnoli, che tendono a rivedere nella ricorrenza della scoperta del Nuovo Mondo soltanto una personale fiesta de la raza. Un’altra è con gli estremisti, per esempio i norvegesi, che negano addirittura a Colombo la paternità della scoperta. Un’altra ancora è con quanti non ammettono, invece, l’italianità di Colombo. Anche per questo, in tempi assai recenti, il valoroso decano dei nostri giornalisti negli Stati Uniti, Agostino De Biasi, è tornato a battere su un suo vecchio chiodo: l’idea, avanzata fin 1918, del Columbus Day festa nazionale anche in Italia. In questo clima un Presidente, che sceglie proprio questo giorno per ricordarsi di certi suoi remoti parenti italiani, ha il suo peso.
Ma ha un peso, evidentemente, anche sulle altre comunità nazionali, prima fra tutte quella irlandese, che, come tutti sanno, non è la meno numerosa né la meno puntigliosa, anche sul piano elettorale. Ed è così che a poca distanza un comunicato della Casa Bianca precisa che "il Presidente si era sbagliato nel momento in cui aveva innestato un ramo italiano nell’albero genealogico irlandese della sua famiglia".
Sull’argomento abbiamo interpellato il conte Antonello Geraldini, che esercita a Roma la professione di avvocato civilista, ha cinquantacinque anni che non dimostra, una moglie milanese, Angelina Zoja, figlia di un noto industriale di prodotti farmaceutici, e tre figli, Alessandro, Ada e Manfredi, rispettivamente di 24, 21 e16 anni.
Il conte Antonello Geraldini - che siamo andati a trovare nel suo studio di via Casamatta, a un passo dal Palazzo di giustizia, e poi nelle sua abitazione di via Piemonte, a due passi dall’Ambasciata Americana - si è visto in questi giorni al centro di un interesse pubblico che non aveva mai sollecitato. Per un po’ se ne è divertito, e più ancora se ne sono divertiti i figli, ragazzi moderni propensi a prendere sottogamba glorie del genere; per non parlare dei colleghi, che tra un’udienza e l’altra ne han fatto pretesto per battute affettuosamente micidiali. Adesso - dopo qualche giorno di questo battage - l’avvocato Geraldini comincia a divertirsi un po’ meno. "La questione - osserva - non mi pare molto importante, almeno dal punto di vista dei Geraldini. Nel corso della storia, essi sono stati in rapporto con uomini che si chiamavano volta a volta Dante Alighieri, Nicolò Machiavelli, Alessandro VI, Innocenzo VIII, Edoardo VIII d’Inghilterra, i re Cattolici, e - a proposito - anche con Cristoforo Colombo: fu proprio un Alessandro Geraldini, infatti, Nunzio Apostolico in Spagna e confessore della regina Isabella, a difenderlo contro le accuse di eresia religiosa e scientifica che gli venivano rivolte dai dotti di Salamanca, riuniti a convegno su incarico dei reali, per decidere appunto sulla progettata impresa... e il genovese dovette a lui, in definitiva, se al termine di quel processo trovò ad attenderlo un finanziamento invece che un rogo..."
La situazione del conte Geraldini non è priva di aspetti paradossali. E’ stato tirato nella faccenda per i capelli, come abbiamo già visto, e come è del resto dimostrato dal fatto che si guardò bene dal rivendicare remote parentele quando l’astro Kennedy si alzò all’orizzonte. Ora vorrebbe sottrarsi alle precisazioni.
IL PRIMOGENITO NON SEGUE LA QUESTIONE
Tra l’altro, i Geraldini sono ormai moltissimi, disseminati per il mondo, e anche qui, a Roma, il compito di fornire spiegazioni spetterebbe se mai a suo fratello Gaetano, di tre anni più anziano di lui, al quale andrebbero perciò i diritti ma anche gli oneri della primogenitura. Senonchè, come i suoi figli, così suo fratello si disinteressa di queste glorie di famiglia. Mentre lui. Antonello, cominciò da ragazzo a coltivarle, per caso: "Ero stato mandato dai miei in villeggiatura ad Amelia, in Umbria, e pensavo a tutt’altro. Ma venne a trovarmi un vecchio generale del luogo che aveva saputo del mio arrivo, disse che non potevo ignorare la storia, perché la storia mi riguardava da vicino. E mi trascinò nell’archivio del paese..."
Il risultato è che oggi il conte Antonello è forse l’unico, tra i molti Geraldini, a poter rispondere a Kennedy, o meglio ai suoi consiglieri che hanno tentato di fargli dare una smentita. Per Antonello Geraldini non è affatto importante stabilire questo legame, tanto più che si perde nella notte dei tempi: ma, una volta che se ne sia rivelata l’esistenza, è storicamente scorretto negarla. Tutti i Geraldini odierni discendono infatti dal Geraldini di Firenze, ghibellini per la pelle, e per questo espulsi dalla città. I meno bellicosi sene andarono appunto ad Amelia, sostituendo nello stemma di famiglia una pianta di ulivo al leone rampante; gli altri, gli irriducibili, uomini di spada, trasmigrarono in Francia ed in Inghilterra. Fu appunto al servizio del re d’Inghilterra che essi si volsero all’Irlanda, trasformando col tempo il loro nome in FitzGerald.
Le prove? Negli scaffali della sua biblioteca, tra codici e altro, l’avvocato Geraldini ne ritrova almeno un paio decisive. La prima è nell’opera che il padre domenicano Fra’ Domenico da Rosario Odaly redasse nel ‘500, e basterà citarne il titolo: Relativo Geraldinorum in Hibernia (Hibernia, ossia Irlanda). La seconda testimonianza è quella di Cristoforo Landino, nell’introdozione del suo Commento della Divina Commedia, di cui vale la pena di riportare un brano per intero: "erano in Inghilterra tre fratelli, Tommaso, Gherardo e Maurizio dell’antichissima famiglia dei Geraldini di Fiorenza, mandati in esilio per dissensioni civili; questi, nell’acquisto dell’Hibernia sì pronta, sì franca, e sì fedele opera prestarono al re d’Inghilterra, che, soggiogata l’isola, furono insigniti della signoria di tutta la parte piana di quella…"
I discendenti degli "antichissimi Geraldini di Fiorenza " sono ora sparsi un po’ d’appertutto. Anche in America. E ci pare dimostrato che c’è n’è uno - Geraldini almeno in parte, almeno alla lontana - persino alla Casa Bianca, proveniente dall’Irlanda, Hibernia d’una volta. Perché non è detto che un vecchio nonno raccontasse al piccolo John solo favole prive di fondamento storico. Anche se il piccolo John oggi è cresciuto: e deve badare a ciò che dice, e magari ritornare su ciò che ha detto, per non dispiacere agli irlandesi. "Ma tutto questo - conclude l’avvocato Antonello Geraldini, mentre si accinge a riprendere in mano i suoi incartamenti di civilista - non ha, beninteso, alcuna importanza. Siamo tutti Geraldini, come siamo tutti Adamo ed Eva.