Alessandro Geraldini
GERALDINI

COLOMBO IN SPAGNA - LA DECISIONE DEI DOTTI

Prof. Giancarlo Von Nacher Malvaioli

Cap. VI

COLOMBO IN SPAGNA
SANTA MARIA DELLA RÁBIDA
LA LUNGA ATTESA
I RE E LA DECISIONE DEI DOTTI
LE 'CAPITULACIONES'

Era l'anno del 1486. Colombo, dopo la negativa ricevuta dal re Giovanni II e la morte di sua moglie Felipa, decise d'abbandonare il Portogallo portando con sé suo figlio Diego, di cinque anni, lasciando suo fratello Bartolomeo a Lisbona. Pensò che forse avrebbe trovato miglior fortuna in Spagna, tanto più che una (o forse due) cognata sua abitava in Andalusia, inoltre aveva amici nella comunità genovese di armatori, banchieri e commercianti di Cordova e Siviglia.
La Spagna era la nazione del futuro, si stava unificando, cercava di stimolare il commercio, di diffondere la religione e di ampliare i suoi territori, seguendo la decisa politica dei re Isabella e Fernando.
Com'era sua abitudine Colombo dovette aver progettato tutto con somma precisione, prima di prendere la decisione d'abbandonare il Portogallo quasi di nascosto, senza neppure avvisare il Re, imbarcandosi a Lisbona e diretto a Siviglia.
La nave faceva scalo a Palos (1) e Colombo approfittò l'occasione per visitare il monastero francescano (2) di Santa Maria della Rábida (3) edificato sulla sommità d'una collina, non lontana dalla confluenza dei fiumi Tinto e Odiel, a una diecina di chilometri dallo scalo.
La primavera stava finendo, faceva caldo e la salita al monastero stancò il suo figlioletto, il quale giunse al monastero assetato e forse anche con un po' di fame. Da questo fatto si creò la leggenda, che appare ancora in molti libri, che Colombo era andato a chiedere l'elemosina ai frati. Certamente non era un uomo ricco, ma a causa del suo matrimonio doveva possedere un certo capitale, oltre al denaro guadagnato durante molti anni al servizio degli Spìnola e dei di Negro. Inoltre non si sarebbe mai presentato come un mendicante, il suo orgoglio, che dimostrò una infinità di volte, non glielo avrebbe mai permesso. Poi come straniero e plebeo e per giunta mendicante non sarebbe mai stato ascoltato da nessuno, solamente se si vanagloriava di aver sposato una nobile, e di trovarsi in condizione agiata, avrebbe potuto essere ricevuto ed ascoltato dai Re e dai nobili della Corte, come già gli era successo in Portogallo.
La storia narra che fu ricevuto dal padre guardiano Antonio de Marchena (4), cosmografo e molto interessato alla navigazione e alle scoperte. Tutti e due discorsero lungamente. Il frate restò ammirato ed entusiasmato dalle idee e dai progetti di Colombo. I francescani erano stati sempre missionari percorrendo tutti i cammini del mondo allora conosciuto, e la possibilità di trovare altri popoli sconosciuti e cristianizzarli, accese la sua fantasia e la sua fede. Da quel momento il padre Marchena si convertì nell'angelo tutelare di Colombo e lo accompagnò nel suo secondo viaggio. Probabilmente fu lui che lo raccomandò ai Re, che si trovavano a Siviglia, e ai due nobili più autorevoli e potenti in quelle terre dell'Andalusia: il duca di Medina Sidonia e il duca di Madinaceli (5).
Colombo ridiscese verso lo scalo, lasciando -sembra -suo figlio in custodia ai frati. Giunto a Siviglia prese contatto con la numerosa comunità genovese della città, con dei parenti dei suoi antichi padroni, gli Spìnola, Centurione, di Negro, Doria, Pinelli, Grimaldi, Cattaneo, Rivarolo, Gherardi ed altri. Fece visita a sua cognata Violante, sposata con Miguel Muliart (6). Chissà fu il banchiere genovese Giannotto Berardi, il quale ospitò Colombo a casa sua per qualche tempo, che gli permise di stabilire i primi contatti con i duchi di Medina Sidonia e Medinaceli. A Córdova fu aiutato anche dai fratelli farmacisti Sbarroia (cognome spagnolizzato in Esbarroya) e da un altro membro della famiglia Spìnola.
Don Enrique de Guzmán, duca di Medina Sidonia, Grande di Spagna, era il nobile più ricco e potente dell'Andalusia. S'interessò al progetto di Colombo, dato che erano frequenti le incursioni e razzie delle sue navi, e quelle dei suoi seguaci o protetti, sulle coste africane in cerca di schiavi e d'oro, e volle aiutarlo, ma sembra che i Re, non essendone stati avvisati previamente, si opposero.
Fu allora la volta di don Luis de la Cerda, duca de Medinaceli (7), il quale non solamente lo trattenne come suo ospite, ma che -vista l'esperienza anteriore di Medina Sidonia - si diresse direttamente ai Re: un tal Colombo gli aveva chiesto delle navi e il permesso di attraversare l'Oceano in cerca delle Indie, però giudicando che era una richiesta troppo importante anche per un nobile come lui, lasciava tutto alla considerazione dei Re.
Questa offerta diplomatica ebbe effetto, la Regina gli scrisse che le mandasse 'quell'uomo'.
Ora qualsiasi persona con denaro poteva avergli dato quelle tre o quattro navi che Colombo chiedeva, incluso gli Spìnola e i di Negro, ma era già passato il tempo delle avventure e spedizioni private in mare aperto, ora era necessario il permesso reale, incluso per poter superare, senza danni e problemi, gli ostacoli del ferreo blocco portoghese. Era la protezione e il permesso dei Re ciò che cercava Colombo, il finanziamento -come vedremo -fu una questione secondaria, contrariamente a quello che si scrisse e ancora, generalmente, si scrive.
Colombo finalmente giunse in presenza della Regina, forse introdotto dall'Arcivescovo di Toledo, poi Cardinale di Spagna, don Pedro González de Mendoza, zio del duca di Medinaceli, e da Alfonso de Quintanilla, amministratore e ragioniere maggiore dei beni della Corona.
Era il 21 di gennaio del 1486 quando Colombo espose le sue teorie ai Re, nell'Alcázar di Cordova. Sembra che il re Fernando non ne rimase affatto impressionato e lo considerò uno straniero bizzarro, e poco interessante per l'Aragona, tutta protesa verso il dominio del Mediterraneo.
In cambio la regina Isabella ammirava la sua fede, la sua immaginazione e il suo progetto di dare alla Castiglia nuove terre, espansione verso l'Oceano, la conversione al cristianesimo di molti altri popoli ed anche ottenere future ricchezze che sarebbero servite a liberare il Santo Sepolcro. I Re si consultarono con i loro consiglieri, ma non presero decisione alcuna.
A Cordova, in maggio ci fu un'altra intervista e i Re probabilmente ripeterono a Colombo la proverbiale frase spagnola: "Non ci sono problemi, ne riparleremo presto".
Nel mentre, a Cordova, Colombo prendeva contatti con altre persone importanti della comunità genovese; comunità che risiedeva nel quartiere della Porta di Ferro, sulla riva del Guadalquivir. Tali persone erano i Solario, Morandi, Gentile, Battista Aulo e i fratelli Luciano e Leonardo Sbarroia, di cui già parlammo. Fu precisamente nella farmacia di questi dove Colombo conobbe Diego de Arana (o Harana) e sua moglie Costanza, che lo invitarono a casa loro e le presentarono una loro cugina, Beatrice Enríquez Arana, che aveva vent'anni (quindici meno di Colombo), orfana di genitori che erano stati vinai. Si frequentarono e nel 1488 nacque Fernando (Hernán o Hernando), figlio naturale. Colombo non la sposò, tra le tante supposizioni e leggende che si tessero, anche su questa faccenda, la più accettabile è che lui si considerava, se non propriamente nobile, una persona d'una certa importanza e non gli conveniva sposare una plebea. E questa dev'essere la ragione per cui Fernando, sempre così orgoglioso e difensore di suo padre, non menziona mai sua madre. Ogni epoca è proprio schiava dei suoi pregiudizi.
Nonostante Beatrice aiutò economicamente Colombo, si prese cura di suo figlio Diego, poi sparì dalla storia e non sentiremo più parlare di lei, con eccezione del testamento. Infatti nel testamento Colombo, per certi scrupoli di coscienza, le lasciò una pensione vitalizia (8).
Siccome i Re si spostavano continuamente da una città a un'altra, anche a causa della guerra contro Granada, ritornando a Cordova ricevettero nuovamente Colombo e nominarono una commissione di saggi affinché l'ascoltassero e dessero il loro punto di vista definitivo.
Come coordinatore di detta commissione fu nominato il padre Fernando di Talavera, priore di Prado, uomo di fiducia e confessore della Regina, il quale riunì saggi, gente di mare e studiosi. Di questi si conoscono solo i nomi di Rodrigo Maldonado, che fu contrario a Colombo, e di Andrea di Villalón.
La commissione si riunì varie volte e in città diverse, doveva infatti seguire i Re e la loro Corte nei loro spostamenti. La storia definisce come una delle riunioni più importanti quella di Salamanca, nella quale Diego Deza, priore del convento domenicano, che ospitava Colombo, si dimostrò favorevole al progetto, mentre decisamente contrario fu Fernando di Talavera.
Colombo si trovò di fronte a un'incredulità quasi generale, che a volte giungeva alla burla e al sarcasmo.
Trascorsero nove mesi, la decisione finale della commissione ancora non era stata consegnata ai Re, comunque Colombo ricevette, come persona al servizio reale, 12.000 maravedíes ; seguirono altri pagamenti, però la decisione finale si rimandò a un altro 'domani migliore'. Ricevendo del danaro Colombo s'impegnava a rispettare i diritti dei Re, e a non offrire il suo progetto ad altri monarchi.
"Questi signori affermano -scrisse Colombo (10), a proposito dei membri della commissione - che non sono un uomo colto, che sono un marinaio ignorante".
Veramente Colombo basava la sua teoria considerando la sfericità della terra, e in ciò tutti i saggi erano d'accordo, ma quando si riferiva a un'ipotetica distanza, da lui calcolata, tra la Spagna e l'Asia, i saggi si burlavano di lui, affermando (oggi sappiamo che avevano ragione), che tale distanza doveva essere maggiore, e di molto. C'era anche un altro punto sul quale insistevano i saggi, non scientifico, ma religioso. In quell'epoca la religione doveva prendersi molto, ma molto sul serio. Aristotele e sant'Agostino avevano affermato che il resto del mondo era inabitabile, che esisteva un vuoto agli antipodi e che il Mare Tenebroso inghiottiva gli uomini. Nel migliore dei casi, attraversando la linea equatoriale, le navi avrebbero navigato in discesa, a causa della sfericità della terra, e non avrebbero mai potuto navigare in salita per tornarsene a casa, neppure con tutti i venti favorevoli.
La commissione non conosceva o non credette al vescovo Alessandro Geraldini (11) che affermava che Aristotele e sant'Agostino non erano stati realmente buoni geografi. Se Colombo non fosse stato un credente dichiarato e riconosciuto (12), e protetto dai francescani e dai domenicani, probabilmente sarebbe stato considerato un eretico.
Negli anni 1487, 1488 e 1489 Colombo continuò a nutrirsi di promesse, seguendo la reale Coppia nei suoi continui spostamenti.
Visitando il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, in Estremadura, promise di dedicarle terre o isole che avrebbe scoperto. Per potersi mantenere si dedicò al commercio di libri stranieri a Siviglia, alcuni di questi libri, con al margine note di suo pugno, si trovano oggi nella famosa Biblioteca Colombiana.
Già sfiduciato scrisse al re Giovanni II del Portogallo (13), il quale accettò di rivederlo per riparlare del progetto. Forse Colombo ritornò a Lisbona, o forse mandò suo fratello Bartolomeo, ma il Re ci aveva ripensato dato che, nel 1488, Bartolomeo Diaz aveva finalmente aperto il cammino verso le Indie, doppiando il Capo di Buona Speranza.
Nel 1489 i Re si trovavano a Baza con tutto il loro esercito, guerreggiando contro i mori, e c'è chi scrisse che Colombo era con loro e prese parte coraggiosamente a qualche azione bellica alle porte di Granada.
Colombo, a Jaén, rivide la Regina grazie alle insistenti preghiere dei cortigiani don Diego Deza, Donna Giovanna de Torres ed Alfonso Quintanilla. Finalmente nel 1490 giunse la decisione negativa della commissione dei saggi, comunicata alla Regina dal padre Fernando di Talavera. I saggi giudicavano troppo rischioso l'attraversare il Mare Tenebroso e un siffatto viaggio alle Indie sarebbe durato per lo meno tre anni, e non qualche settimana come diceva Colombo, perciò non esisteva nessuna nave che avrebbe potuto trasportare viveri sufficienti. In certo senso era vero, e Colombo non sarebbe mai arrivato in nessuna parte se non avesse avuto la fortuna d'imbattersi in un continente intruso che gli sbarrò il passo.
La Regina, con una certa intuizione femminile, disse a Colombo che avesse ancora un po' di pazienza, fino alla resa di Granada, ma questi già sfiduciato e forse anche a corto di danaro, mandò suo fratello Bartolomeo in Inghilterra, ad offrire il suo progetto al re Enrico VII (padre del futuro Enrico VIII), Bartolomeo disegnò delle carte nautiche e fece un mappamondo per il Re, che si conserva ancora con il suo nome e la sua origine genovese. Poi stanco di proporre senza successo il progetto al Monarca, passò in Francia, dove arrivò dopo vari mesi, dato che fu catturato dai pirati. Lavorò come cartografo a Fontainebleau e propose inutilmente il progetto di suo fratello al re Carlo VIII.
Frattanto Colombo ritornò alla Rábida e convinse il priore Juán Pérez a scrivere alla Regina, la quale gli mandò danaro affinché si presentasse alla sua presenza nella reale città di Santafé, costì Colombo fu presente alla resa di Granada, e in presenza dei Re, e dopo vari anni di amare esperienze, giocò le due carte che aveva nella manica, per penetrare nel cuore e nella mente dei Monarchi: con Isabella quella della conversione al cristianesimo di centinaia di migliaia di pagani, ricuperando così le loro anime, con Fernando quella della ricchezza che si sarebbe trovata nell'impero del Gran Khan e dei favolosi affari che avrebbero arricchito la Castiglia e l'Aragona. Ma a Fernando, realista e pratico, non piaceva giocare con la fortuna, non voleva permettere un'avventura rischiosa che aveva come scopo di cercar di scoprire qualcosa, voleva sottrarre ai portoghesi i ricchi mercati delle Indie, e chiese a Colombo che garanzie e che prove scientifiche poteva dargli. Ed era precisamente ciò che questi non poteva dargli.
Si dette l'ordine di formare una nuova commissione di saggi, la quale -considerando i desideri e le simpatie della Regina -giunse alla conclusione di dichiarare che, per quanto fossero assurde le idee e i progetti di Colombo, i Re non avevano nulla da perdere se lo aiutavano a realizzarli. In conclusione si trattava di rischiare tre navicelle, la quali potevano benissimo essere equipaggiate ed allestite in minima parte con danaro della Corona. Tre navicelle gettate alla sorte, come dei dadi, giocando al tutto o al niente. E il tutto poteva benissimo essere moltissimo: terre ferme, isole ricche, i favolosi tesori delle Indie che si sarebbero raggiunti aprendo un cammino diverso da quello dei portoghesi, mentre il niente significava rimanere nella stessa situazione presente, né più ricchi né più poveri, infatti avrebbe rappresentato solo l'insignificante perdita delle tre navicelle e degli equipaggi, compreso Colombo.
Si avvertì Colombo della decisione presa, allora i Re dovettero assistere a una scena che non si sarebbero mai aspettata, invece di presentarsi al loro cospetto una persona che scoppiava dalla gioia e che si prostrava in ringraziamenti, si trovarono di fronte un individuo che impassibile voleva imporre le sue condizioni.
Come osava, come si permetteva questo miserabile straniero di essere così insolente?
Ma Colombo ben conosceva per esperienza personale quanto valevano le promesse e la gratitudine degli uomini, e più erano potenti peggio si comportavano, si collocavano al di sopra delle leggi, che trasgredivano continuamente e impunemente. Cosicché era meglio chieder molto, così qualcosa gli sarebbe pur rimasto; se invece si dimostrava modesto e chiedeva poco era possibile che al finale non avrebbe ricevuto un bel nulla. E realmente successe proprio così: ben poca cosa ricevette di tutto ciò che aveva chiesto al principio: un modesto capitale da lasciare ai suoi figli e molti titoli onorifici scarsamente produttivi per suo nipote don Luigi, ammiraglio del Mar Oceano, vicerè e governatore delle terre e isole scoperte, duca di Veragua, marchese di Giamaica, Grande di Spagna, ecc.
Chissà Colombo si ricordò anche di Perestrello, lo scopritore di isole, al quale, il ringraziamento reale, giunse al punto di nominarlo governatore d'un isoletta scarsa d'acqua e più ancora di rendite. Inoltre il suo viaggio era così pericoloso e insicuro che sarebbe potuto scomparire nell'Oceano o ritornare sconfitto, in entrambi i casi i suoi figli non avrebbero ricevuto un centesimo dalla Corona.
Colombo neppure si sognava di scoprire un continente, pensava di arrivare a certe isole asiatiche ricche d'oro e di spezie e quindi raggiungere le Indie, stabilire contatti commerciali con l'impero del Gran Khan. Infatti era più che logico pensare che in Giappone, Cina ed India non avrebbe potuto far valere i diritti che gli conferivano le 'capitulaciones' reali spagnole. Al massimo avrebbe potuto commerciare con quelle nazioni e ricevere le sue commissioni.
Forse furono queste le sue considerazioni, certamente molto realistiche, indipendentemente dalle umiliazioni ricevute in quegli ultimi 16 anni d'attesa, raccomandandosi per ricevere favori in terre straniere, sopportando burle e irrisioni e rendendosi conto come realmente "...si come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scender e 'l salir per l'altrui scale" (14).
Ma quali erano le richieste di Colombo, che ancora vari scrittori, soprattutto spagnoli, considerano esagerate o assurde? I seguenti tre punti erano quelli che i Re non volevano concedergli:
1. Voleva che si aggiungesse al suo nome il titolo di riguardo spagnolo di 'don'. Tale titolo non era, come oggi, così svalutato, in ogni modo non costava nulla ai Re concederglielo.
2. Essere nominato ammiraglio del Mar Oceano. Oggigiorno questo titolo è un grado della marina militare, che corrisponde a generale nell'esercito. Sembra che furono i genovesi i primi ad usarlo nel senso di comandante d'una flotta, e perciò poteva significare molto o molto poco, tutto dipendeva dell'importanza e dal numero delle navi che avrebbe comandato in un determinato momento con il permesso reale. Ma inquell'epoca ammiraglio era colui che aveva una giurisdizione sull'Oceano, e non era il comandante d'una flotta, a chi la comandava si concedeva il titolo di Capitano Generale. E rispondendo a quegli scrittori che affermano che questo titolo non si doveva concedere a uno straniero facciamo notare che la Spagna ebbe, prima e dopo di Colombo, ammiragli italiani che comandarono le sue flotte (l5).
3. Essere nominato Governatore delle terre che avrebbe scoperto.
Anche in questo caso esistevano numerosi precedenti: La Spagna e il Portogallo concessero questo titolo a vari stranieri scopritori di isole, come nel caso di Perestrello.
Bisogna anche considerare che se Colombo non avrebbe scoperto niente sarebbe stato Governatore d'un ben nulla. Che poi scoprisse qualcosa di 'grande', più grande dell'Europa e anche dell'Africa, nessuno se lo sognava minimamente, né la Regina né Colombo lo seppero o lo supposero mai.
Era più che logico che Colombo chiedesse privilegi, come rendite e stipendi adeguati alle cariche e titoli ricevuti, e il diritto di presentare ai Re una terna di nomi per i rappresentanti amministrativi e giudiziari.
Invece i Re erano disposti a concedergli queste altre richieste:
1. concedergli un 10% di tutte le ricchezze che avrebbe trovato, esenti da spese e tasse (come era abitudine dell'epoca).
2. siccome qualcuno della Corte obbiettò che era troppo, dato che Colombo non apportava né rischiava nulla (salvo la sua vita...), questi offrì di contribuire con un 8% alle spese delle tre navi, ricevendo in cambio l'8% della vendita delle merci che avrebbe comprato e trasportato di ritorno dal suo (o dai suoi) viaggio.
Chiese anche viveri per un anno, che i Re gli negarono, ma poi accettarono quando Santángel si offrì di pagarli lui.

I Re vollero mercanteggiare, ma Colombo insistette nelle sue richieste: o tutto o niente. Si congedò, montò a cavallo e se ne andò verso Siviglia, forse con il proposito di raggiungere suo fratello in Francia.
A questo punto sembra che Santángel, tesoriere reale, Diego Deza, Juán Pérez, Beatriz Hernández, marchesa de Moya, Beatriz Peraza de Bobadilla e i consiglieri Quintanilla e Cabrera (16) convinsero i Re di accettare ciò che Colombo richiedeva. Non sappiamo quali furono i loro argomenti decisivi, forse fu sufficiente la decisione di tenere segreti i termini delle 'capitulaciones' fino al giorno in cui si sarebbero conosciuti i risultati della spedizione. In caso di successo si sarebbero rese pubbliche le 'capitulaciones' come 'graziose concessioni dei Re'.
Sarebbe troppo maligno pensare che qualcuno suggerì a Fernando (o lui stesso si ricordò) di quel proverbio spagnolo: 'Prometer no empobrece'?
Colombo fu raggiunto dalle guardie reali e ricondotto indietro.
Il 30 aprile del 1492 si firmarono le 'capitulaciones' che furono registrate dal segretario di stato Juán de Coloma, a nome di Fernando e Donna Isabella, per grazia di Dio, Re e Regina di Castiglia, di León, d'Aragona, di Sicilia, di Granada, di Toledo, di Valencia, di Galizia, di Maiorca, di Minorca, di Siviglia, di Sardegna, di Corsica, di Mursia, di Jaén, d'Agarbe, d'Algesiras, di Gibilterra e delle isole Canarie; conte e contessa di Barcellona, signori di Biscaglia, e di Molina; duchi d'Atene e di Neopatria; conti del Roseglione e della Sardegna; marchesi di Oristano e di Gosiano.
Si consegnarono a Colombo tre lettere di presentazione: una per il Kubilai Khan (o Gran Khan), che già era morto... nel 1294 e neppure la sua dinastia mongola imperava più in Cina, e altre due lettere aperte, dirette a chi Colombo avrebbe ritenuto conveniente.
Il sogno di Colombo stava finalmente per realizzarsi. In quel momento era l'unica cosa che gl'importava. Il prezzo che aveva pagato, e che avrebbe dovuto pagare in seguito, fu maggiore di ciò che aveva chiesto e di gran lunga superiore di ciò che ricevette dai Re.
Aveva superato i lunghi anni d'umiliazioni, mortificazioni, inutili attese, di suppliche (17), ed ora si sentiva superiore alla meschinità generale degli uomini, ma restando sempre fedele ai Re, malgrado tutto, realista quando si trattava di far valere i suoi diritti e testardo nel non cedere neppure una briciola di tutto ciò che considerava essere suo diritto.
Finalmente si cominciò ad allestire la spedizione. In definitiva chi la finanziò? (18)- Il comune di Palos, i banchieri genovesi e fiorentini con il loro socio Santángel, lo stesso Colombo ed altri ancora (19).
Con relazione ai Re lo stesso Colombo lasciò scritto: "Non vollero dar nulla, con eccezione di un milione di maravedíes, ed io dovetti pagar il resto".

NOTE

    Palos si trova a 16 chilometri circa da Huelva dove, secondo alcuni scrittori, viveva una cognata di Colombo, moglie di Pietro Correa. Altri biografi affermano che vi abitava una seconda sorella di Felipa, chiamata Violante e sposata con il fiammingo Michele Muller, spagnolizzato in Muliart.
    Colombo sin da bambino fu devoto a san Francesco d'Assisi, vari scrittori affermano che apparteneva all'ordine dei Terziari.
    Rábida è un nome arabo che significa fortezza di frontiera.
    Alcuni biografi affermano che Colombo conobbe anche il priore Juán Pérez, che molto lo aiutò posteriormente, però secondo altri lo conobbe molto più tardi, forse nel 1491.
    Sebbene i Medinaceli erano molto meno ricchi dei Medina Sidonia possedevano ancora, nel 1936, 70.000 ettari di terre nel sud della Spagna.
    Michele Muliart o Molyart accompagnò Colombo nel suo secondo viaggio, ritornò con il gruppo degli scontenti e disillusi restando debitore a suo cognato di una somma che gli aveva prestato. Malgrado ciò Colombo si ricordò di Violante nel suo testamento concedendole un lascito.
    Nel marzo del 1495, quando Colombo era tornato dal suo primo viaggio, il duca di Medinaceli informava suo zio, il cardinale di Spagna don Pedro González de Mendoza, consigliere dei Re, che aveva ospitato e raccomandato Colombo (scrivendo il cognome in italiano). La lettera comincia così: "Non so se sa, Vostra Signoria, che ho avuto a casa mia, per molto tempo, Cristóbal Colombo, che veniva dal Portogallo e voleva andarsene dal Re di Francia affinché lo aiutasse a raggiungere le Indie...".
    A causa di questo 'peccatuccio' Colombo perse l'opportunità di essere beatificato. Nel 1873 Pio IX cominciò il processo di beatificazione richiesto da ben 700 vescovi.
    Già s'è detto che confessore della Regina era un titolo onorifico e molti religiosi importanti ne erano insigniti.
    Non solo i cognomi, ma anche le parole stesse cambiavano continuamente allo scriverle, sovente anche negli scritti d'una stessa persona, dato che non erano state ancora fondate le accademie delle lingue e non esistevano regole ortografiche. Quando Antonio de Lebrija, que aveva studiato in Italia, nell'università di Bologna, consegnò alla Regina la prima grammatica spagnola, pubblicata a Salamanca il 18 agosto del 1492, questa disse all'autore: "Ma a che cosa serve?"
    Vescovo di Volterra al servizio dei Re, fu il primo vescovo della Spagnola, dove morì nel 1525.
    Colombo andava a messa ogni domenica, si comunicava, faceva voti e penitenze. Bartolomé de las Casas scrisse che era cattolico molto devoto, pregava ad ogni ora canonica, non bestemmiava, invocava continuamente la Santissima Trinità, cominciava i suoi scritti con 'Jesus cum Maria sit nobis in via'.
    Colombo chiese al re Giovanni II un salvacondotto per poter ritornare in Portogallo. Si è speculato molto su questo fatto, e gli studiosi si sono sbizzarriti in supposizioni: aveva lasciato dei debiti a Lisbona? S'era immischiato in qualche congiura politica? Aveva sottratto dagli archivi reali la lettera di Toscanelli? Temeva la collera del Re perché che se n'era andato senza avvisarlo e inoltre aveva offerto il suo progetto agli spagnoli, suoi concorrenti? Forse quest'ultima è l'ipotesi più credibile.
    Dante: "Divina Commedia", Paradiso, canto XVII, versi 58-60.
    Basterebbe ricordare, prima di Colombo, il genovese Benito Zaccaria, ammiraglio del re Sancho IV, Egidiolo Boccanegra, conte di Palma, che diresse l'ammiragliato di Castiglia, suo figlio Ambrogio, ammiraglio d'Enrico II, che sconfisse la flotta inglese nel Mare del Nord, il calabrese Roger di Lauria, grand'ammiraglio della flotta d'Aragona e, dopo Colombo, Giambattista Pastene, ammiraglio del Mare del Sud, fondatore di Valparaíso, nel secolo XVI. In Portogallo furono ammiragli ereditari i fratelli Pessagno (Pessanho in portoghese).
    Il frate Diego Deza, ebreo converso, maestro del principe ereditario Giovanni, fu poi vescovo di Palencia e arcivescovo di Siviglia.; Alonso Quintanilla, ragioniere maggiore del Regno e consigliere dei Re, ospitò a casa sua Colombo; Beatriz Hernández de Bobadilla, marchesa de Moya, sposata con Andrés de Cabrera, dama d'onore della Regina e Beatriz de Perraza e Bobadilla, marchesa di Moya, parente della precedente e dama d'onore della Regina. Quest'ultima, essendo molto bella, piaceva a Fernando, così che la regina Isabella l'allontanò dalla Corte, facendola sposare con Fernando Peraza, governatore di una delle isole Canarie. Fernando, despota e tiranno, suscitò l'odio degli isolani e finì assassinato, restando Beatrice come governatrice dell'isola. Colombo s'innamorò di lei, e trascorse con lei vari giorni quando passò di lì nel suo primo viaggio e nel secondo.
    Come scrisse il cronista Michele da Cuneo (di nobile famiglia di Savona, amico di Colombo, che redattò in parte la cronaca del secondo viaggio): "Colombo fu tinto d'amore per lei".
    La maggioranza degli scrittori è convinta che Colombo fu ostacolato dalla maggioranza degli spagnoli soprattutto perché era straniero.
    E' logico pensare che i Re non avrebbero dato un centesimo a Colombo se non avessero sperato di guadagnarci.
    Non è facile sapere con precisione quanto costò il primo viaggio, e chi e quanto pagò ognuno, comunque tutti gli studiosi sono d'accordo che non spesero molto, dato che nessuno volle pagare più di quanto fosse strettamente necessario. Ora se le due caravelle furono pagate dal comune di Palos, sarebbe questo l'apporto dei Re di un milione di maravedíes, del quale parla Colombo. Un altro milione e mezzo circa di maravedíes lo pagò Santángel e i suoi soci i banchieri italiani Bardi e Francesco Pinelli, genovesi, Giannotto Berardi, fiorentino, ed altri. Mezzo milione di maravedíes lo pagò Colombo e i suoi amici armatori e banchieri di Negro, Spìnola e Luigi Doria. Al prezzo del 1990 dovette costare, più o meno, 100.000 dollari. La favola delle gioie della Regina impegnate è un'altra trovata da telenovela, qualcuno afferma che forse impegnò qualche gioiello per la liberazione di Granada e che quindi qualche 'cronista' si confuse…

prof. Giancarlo von Nacher Malvaioli  nacher@avantel.net